“Riciclo Alluminio: Italia leader in Europa. Rischi e opportunità nei nuovi scenari economici e normativi”, questo il titolo della conferenza tenutasi a Roma, presso l’Associazione della Stampa Estera e condotta da Andrew Spannaus, consigliere delegato Stampa Estera sede di Milano, indetta da CIAL, il Consorzio Nazionale Imballaggi Alluminio con l’obiettivo di rendere noti i risultati derivati dall’attività di recupero degli imballaggi di alluminio giunti al termine del loro ciclo di vita e mettere in luce l’efficacia e il virtuosismo del modello italiano, in atto dal 1997.
Partiamo da un dato: in Italia nel 2022 è stato avviato a riciclo il 73,6% degli imballaggi in alluminio immessi sul mercato (ovvero 60.200 tonnellate): un traguardo che ha già consentito di superare abbondantemente gli obiettivi comunitari fissati per il 2025 (50%) e il 2030 (60%).
L’efficienza del sistema italiano è ancor più evidente se si analizza lo spaccato del tasso di riciclo per le sole lattine in alluminio per bevande, pari al 91,6% per il 2022. Un risultato da record, in linea con quello dei paesi i cui sistemi sono basati sul deposito cauzionale e di gran lunga superiore al tasso medio di riciclo europeo del 73%. “L’alluminio è il material sharing per eccellenza.” ha esordito Giusi Carnimeo, Direttore Generale CIAL “Qualsiasi prodotto, al termine del suo ciclo di vita, ha di fronte due strade. O viene dismesso e successivamente smaltito, oppure – se possibile – viene recuperato e successivamente riciclato o riutilizzato. Da questo punto di vista l’alluminio è un materiale con caratteristiche intrinseche straordinarie. Impiegato per realizzare milioni di prodotti è riciclabile al 100% e all’infinito. È infatti in grado di conservare in eterno le sue proprietà strutturali. Basti pensare che oltre il 75% dell’alluminio da sempre prodotto è tutt’ora in circolo.”.
Il nostro Paese è un esempio particolarmente virtuoso: il 100% della produzione italiana di alluminio proviene dal riciclo.
In chiave verde non è cosa da poco. La produzione di alluminio da riciclo rispetto a una produzione ex novo permette infatti un risparmio energetico di circa il 95% ed evita emissioni serra pari a 423mila tonnellate di CO2. Grazie alla leggerezza del materiale, inoltre, l’imballaggio in alluminio rappresenta solo lo 0,5% del peso dell’imballaggio complessivo immesso sul mercato. Parliamo infatti di 81.800 tonnellate (lattine, vaschette, scatolette, bombolette, tubetti, foglio sottile, ecc.) su un totale di oltre 14.500.000 tonnellate complessive derivate dai sei principali materiali di imballaggio. Questo perché, negli ultimi 20 anni, il comparto globale dell’imballaggio in alluminio è stato caratterizzato da una costante evoluzione in chiave ambientale tesa a ridurre lo spessore e di conseguenza il peso (misurabile in grammi). Un esempio può servire a rendere l’idea. Grazie alla ricerca, il peso di una lattina per bevande da 33 cl è passato dai 14g del 2000 ai 12,2g attuali, con un calo del 12%. Per la tutela dell’ambiente, sono grammi ‘pesantissimi’ che, moltiplicati per i milioni di lattine prodotte ogni anno, si trasformano in tonnellate risparmiate in fase di produzione.
In Italia si privilegia il riciclo di qualità attraverso la raccolta differenziata che, da più di 25 anni, è estesa a tutte le tipologie di imballaggi in alluminio, non solo a quelle più redditizie e facili da raccogliere. È questa la differenza tra il cosiddetto “closing loop”, dove una singola tipologia di imballaggio viene raccolta in maniera selettiva e riciclata per ottenere lo stesso prodotto e il “metal to metal loop” che caratterizza il modello italiano e che prevede la raccolta e la massimizzazione del recupero di tutte le tipologie di imballaggi, e un (ri)utilizzo allargato dell’alluminio riciclato, senza limiti applicativi. La proposta del Regolamento nella sua struttura attuale impone soluzioni che non tengono conto delle strade già percorse, spesso con ottimi risultati, dai singoli Stati. Nel caso dell’Italia, non solo l’intero sistema che coinvolge imprese, lavoratori e tecnologie è stato costruito con successo sul riciclo, ma è stato finora possibile raggiungere con anni di anticipo gli obiettivi di riciclo sui singoli materiali di imballaggio imposti dalle attuali normative europee emanate in forma direttiva.
Un ‘tesoro’ per la transazione ecologica – Duccio Bianchi, consulente e ricercatore in materia di pianificazione ambientale e di gestione dei rifiuti, autore del dossier ‘Miniere Urbane’ recentemente pubblicato, pronostica che “entro il 2030, la domanda globale di alluminio aumenterà di quasi il 40% passando dalle attuali 86,2 Mt a 119,5 Mt. E tale crescita sarà in buona parte trainata dalla transizione ecologica. Ad esempio, nel settore automobilistico e più in generale nei trasporti, l’ormai inarrestabile processo di elettrificazione comporterà un crescente impiego di componenti in alluminio. Di pari passo lo sviluppo del fotovoltaico (i pannelli sono costituiti per l’88% da alluminio) determineranno una domanda di alluminio aggiuntiva pari a circa 10 Milioni di tonnellate annue”. Lo studio di Bianchi sottolinea inoltre che in Europa ben il 79% dell’alluminio post-consumo è riciclato (era il 65% del 2005) e che gli scarti pre-consumo hanno un tasso di riciclo poco meno che totalitario. Ma un incremento a livello globale di alluminio da riciclo è comunque fortemente auspicabile. Anche per motivi ambientali. Si tenga infatti presente che la produzione di alluminio primario ha un importante impatto ambientale. A fronte di emissioni di CO2 pari a 0,5 t per ogni tonnellata di alluminio secondario, la media mondiale della produzione primaria è di circa 17 t di CO2 (ovvero 34 volte quella dell’alluminio secondaria).
Italia leader nella produzione di alluminio da riciclo – Il nostro Paese è il primo produttore europeo di alluminio riciclato, sia per quantità di produzione sia in termini di rottame impiegato. Nel 2021 la produzione nazionale di alluminio secondario ha raggiunto i massimi storici, raggiungendo quota 954 mila tonnellate. Ma la strada è ancora migliorabile: incrementando la massa complessiva del materiale raccolto e riducendo le ‘perdite di materiale’. Conti alla mano, lo studio evidenzia infatti che, a fronte di una potenziale presenza di circa 167 mila tonnellate di alluminio nei rifiuti urbani, vi è una ‘perdita’ di alluminio – apparentemente non riciclato o recuperato – di circa 65 mila tonnellate, poco meno del 40% del totale. È soprattutto sul versante ‘rifiuti ingombranti’ che esistono i maggiori spazi di miglioramento. “Basti pensare che dalla gestione dei rifiuti ingombranti, cui affluiscono circa 60 mila tonnellate di alluminio, si recuperano oggi meno di 1.500 tonnellate di alluminio a causa dell’assenza (o della impropria gestione) dei dispositivi di cattura dei metalli non ferrosi.” conclude Duccio Bianchi.
È quello dei trasporti, il principale settore di destinazione delle leghe di alluminio (70%) seguito dalla meccanica (12%), dall’elettromeccanica (8%) e dall’edilizia (7,5%). Con le ulteriori esigenze di alleggerimento, lo stimolo verso l’elettrificazione e l’aumento della quota di veicoli più grandi e di fascia alta, il contenuto di alluminio nei veicoli aumenterà nei prossimi anni. Così come aumenterà in tanti altri settori. È dunque evidente che il rottame di alluminio rappresenti una fondamentale banca energetica. Occorre limitarne l’esportazione proprio per evitare la perdita di una materia prima che può essere facilmente recuperata e riutilizzata per creare alluminio con un dispendio di energia molto inferiore rispetto alla produzione ex-novo. L’equazione è semplice: se esportiamo rottame perdiamo energia e anche materia prima disponibile per alimentare l’intera filiera manifatturiera europea.
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